dipendenti vs autonomi

Vivo questo scontro direttamente in casa mia, ma sono riuscito a delinearlo maggiormente ampliando l’analisi su diverse persone della mia generazione.

Il mio lavoro da autonomo, è molto simile a quello di un artigiano con bottega, con tempi di pagamento e entrate altalenanti. Molte soddisfazioni e molte incazzature.

Io miei genitori fanno una fatica allucinante a condividere quello che faccio.

Vedono i miei amici che si laureano uno dopo l’altro, quello che trova il posto sicuro, … la replica di quello che hanno fatto loro. Qualcosa insomma che capiscono e approvano.

Qualcun altro ha invece imprenditori in casa. E oltre ad avere direttamente da parte dei parenti delle dritte su come gestire un’attività, viene incoraggiato sin da subito a tirarsi su le maniche della camicia e a darsi da fare. …è il nord italia.

Non sono leghista, ma amici siciliani mi dicono che se al sud provi a metterti a lavorare durante gli studi universitari, sei mal visto. Questo ovviamente accade nei ceti borghesi medio alti. …e in qualcuno dal basso che cerca di darsi il tono.

Queste due anime (autonomi, impiegati), quando si incontrano… fanno scintille.

😦

p.s. se prima la lotta era solo tra ceti sociali diversi… ora la lotta e’ generazionale.

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9 thoughts on “dipendenti vs autonomi

  1. e’ una questione di mentalita’.da noi (per esempio) lavorano solo gli studenti con situazione finanziaria ‘difficile’ …diciamo.hanno bisogno dei soldi per sopravivere e le famiglie non hanno neanche loro abbastanza per essere in grado di aiutare il figlio (la figlia) studente (studentessa).
    e’ difficile pensare che sono dei paesi dove questa cosa (studente che lavora) non dice tutto sulla situazione finanziaria della famiglia.devi essere molto flessibile nel interpretare le informazioni ….
    anche se la cosa migliore per gli individui e per la societa’ e’ di essere apperti e capaci a guardare fuori dal proprio ‘paloncino di sapone’ e provare a imparare e colletare le informazioni/esperienze degli altri (perche solo cosi si va avanti), e’ sempre difficile capire una cosa completamente diversa da tutto quello che ti era familiare nel tuo ambiente.
    dobbiamo accorgerci che sono delle persone che non usciranno mai dal loro piccolo mondo; non perche non vogliono (certo che sono anche delle eccezioni)…. ma solo perche non hanno la forza di farlo
    e ci serve tanta!

  2. per quello che ho visto in questi 7 anni a Milano:

    anche se non sei sano ed hai menomazioni fisiche, anche se sei un parafulmine in grado di attirare tutte le sfighe di questo mondo …se hai le palle ne vieni fuori

    se invece ti piangi addosso e non affronti i tuoi problemi, non cambi di una virgola la tua vita

    volere è potere … http://it.wikipedia.org/wiki/Faber_est_suae_quisque_fortunae

    (non e’ la prima volta che lo cito)

    ho tanti casi, che potrei citare di chi e’ riuscito perche’ ha voluto e chi sta ancora sguazzando nel guano perche’ … un po’ gli piace, e non vuole uscirne … ma preferisco, per rispetto, tenerli per me

  3. Vedi… vedo mia sorella che è contenta di lavorare in azienda (nonostante tutto). I miei sono contenti per lei e contenti per me che non voglio andare a fare il dipendente frustrato. La mia idea è che non ho studiato ingegneria per andare a fare qualcosa che non mi competa e che non mi stimoli perché dall’alto non arriva nulla…
    Ma capisco anche la situazione di mia sorella, a cui piace l’ambiente aziendale perché ha mille colleghi sempre pronti a darsi una mano quando serve (certo esistono anche quelli stronzi ma ha incontrato anche ottima gente) e soprattutto so bene che lavorare da dipendente, finito l’orario di lavoro, saluti tutti e sei a posto!
    E’ questione di punti di vista.
    E concordo in pieno con la citazione.

  4. Se non ho capito male il post, la parte finale afferma in sostanza che >.
    Ecco io sostengo esattamente il “quasi” il contrario.
    Innanzi tutto sarebbe da vedere il “tipo di lavoro” per l’ appunto. Ma ad ogni modo la mia teoria è che se uno sta bene può permettersi di “evadere” le logiche di assunzione delle aziende o semplicemente fregarsene poichè in un modo o nell’altro si ritroverà le spalle coperte, quando laureato a 35 anni nessuno se lo piglierà avrà di certo una “sistemazione alternativa”. D’altro canto quelli che tu chiami “ceti medio alti” spesso stimolano ed educano i figli verso una sorta di “autonomia” o di non dipendenza. Anche se la terminologia non mi piace. Il ceto, nell’ accezione comune, individua una situazione finanziaria più che una posizione sociale, mentre il termine borghesia denota l’ appartenenza più autentica alla classe che detenendo il mezzo di produzione si vota all’ “autonomia”..come la chiami tu. La differenza che tu fai tra Nord e Sud (almeno in questo caso) non esiste. I genitori al Nord come al Sud tendono, quando sono consapevoli che il proprio figlio dovrà vendere la propia forza lavoro, ad affermare il primato del titolo di studio come strumento di guadagno di valore sulla propria forza lavoro, pertanto fremono fino all’ agognato raggiungimento. Questo tipo di ragionamento è tipico della “working class”. E non è nemmeno sbagliato. Nessun padre di famiglia di estrazione operaia spera qualcosa di diverso dal fatto che il proprio figlio si laurei a) in breve b) in una disciplina redditizia c) con il contributo massimo delle borse di studio.
    In conclusione l’ avversione all’ avventurismo imprenditoriale è a Nord come a Sud una prerogativa della classe dei lavoratori non dei “ceti medio-alti”. Tant’è vero che tu lamenti tale avversione in quanto figlio di tale classe.
    Al Sud non esistono famiglie borghesi avverse o favorevoli al lavoro durante gli studi per partito preso o per “tradizione”, esistono solo famiglie borghesi che sono più o meno sicure del futuro dei propri figli e famiglie operaie piene di paure e di incertezze….Proprio come ce ne sono a Nord, a Est o a Ovest.

  5. Ho avuto l’esempio di ragazzi di “buona famiglia” di Palermo… loro stessi mi hanno raccontato questa cosa che veniva malvista la questione del “lavoro durante gli studi”. Corina (che ha inserito il primo commento) ad esempio è rumena, da lei chi deve lavorare per mantenersi agli studi viene malvisto, perchè significa che la famiglia non è in grado di sostentarlo.

  6. Be’ in questo senso allora mi pare allucinante allora. Credo che sia un modo “feudale” di vedere la società nel 2007.
    Il ben visto o male visto nel punto di vista dei genitori lo ho spiegato per come lo vedo io in maniera secondo me oggettiva. Ma il punto di vista del mondo esterno non lo consideravo nemmeno perchè in quel tipo di punto di vista si innesta proprio il provincialismo.
    Forse c’è da fare una distinzione. Credo che ci siano 2 piani diversi per questa discussione. Quello del mal visto “soggettivo” e quello del mal visto “oggettivo”.
    Per me molti genitori in generale vedono male il lavoro durante lo studio per i problemi oggettivi che tale situazione arreca allo studio come ho scritto prima.
    Poi c’è il mal visto “soggettivo” di chi magari si fa problemi verso la società “paesana” e il suo giudizio. Ma io questa gente qua manco la considero.

    🙂

  7. I figli di autonomi o dipendenti crescono non soltanto alle condizioni dei genitori, ma molto dipende anche dalle compagnie che si frequentano e da quello a cui tendono.
    La mia personale esperienza mi ha mostra figli di genitori dipendenti (ceto medio / medio basso) che avevano molto più dai genitori di figli di personche che potevano permetterselo e quindi non dovevano lavorare e questo veniva fatto solo per far si che studiassero. Normalmente chi viene da una realtà dinamica è più propenso a rischiare indipendentemente dal fatto che i genitori ti appoggino – parte che resta cmq considerevole. Chi invece non è disposto a sacrificare qualcosa sceglierà come prima via il lavoro dipendente, che come detto precedentemente da altri, ti garntisce una certa sicurezza almeno di entrate e nessun rischio dei pochi risparmi accumulati. Chi sceglierà di essere autonomo avrà debiti, e non sempre l’attività andrà a buon fine. Ovvio che fare l’autonomo fuori casa è molto più difficile che farlo stando a casa, ma è lo stesso che lavorare come dipendente. 🙂
    Lavorare durante gli studi, almeno per me, è una prassi e sinceramente fare due serate il fine settimana in bar, discoteche, ristoranti o altre forme di mantenimento porta via tempo, ma non tanto da ritardarti gli studi – se fatto in una forma limitata, è solo una questione di rinunce e sacrifici. Non tutti sono disposti a non uscire il sabato sera o il venerdì: giorni in cui non studierebbero cmq.
    Per quanto riguarda l’essere mal visto dipende sia dall’estrazione sociale in alcune regioni che dall’impiego dei genitori: chi si è fatto da sè apprezzerà chi lavora, chi è dipendente magari storcerà il naso. Questa distinzione poi non vale in assoluto. Eppure le persone che lo fanno sono davver molte.
    Avrei molto ancora da dire, ma sarà un altro commento 😛

  8. Esperienza personale.
    Mai stato malvisto per aver lavorato e studiato contemporaneamente negli ultimi anni.

    Mi hanno malvisto per l’età e per il ritardo accumulato durante questa ‘pratica’.

    Se avessi fatto l’autonomo non sarei certo arrivato così vicino alla laurea, avrei rinunciato prima, ed è per questo che invidio le capacità di Guido di organizzarsi e gestire un lavoro autonomo così impegnativo e lo studio senza gli indubbi vantaggi del lavoratore dipendente (che può prendere permessi di studio, che può prendersi le ferie o i ROL … anche se a volte solo sulla carta…).

    Forza Guido, non desistere !

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